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Terzine

I Componimento in Terzine
A ìdem hoc
Si tratta del primo capitolo della trilogia d’endecasillabi (primo e terzo in terzine, secondo in ottave) della descrizione dell’innamoramento, e dei sentimenti provati più nell’astratto che nel concreto nei confronti un amore tanto cingente della intera esistenza dell’autore da considerarlo il più importante, se non il primo davvero provato in totale pienezza. Il primo canto che in forma di proemio in verità rifiuta la Musa ispiratrice, quindi non si tratta di una invocazione ad essa, bensì una invocazione alla protezione divina, accompagnata alla lode nei confronti della lingua utilizzata. 

I
Chiedo che nel mio cantar sia inteso
per il mio tardo sic non di chesta era
3 finchè 'l mio vaneggiar sia vöi reso,
dato che 'l mio amor nato in primavera
et non dopo chesta, età fiorita,
6 viaggiò a trovar nei magni maestri vera
se non empirëa luce di vita
grande et somma pantera cristallina
9 depurata dal tempo et mai assopita.
Voglio dar importanza cherubina
a cotanta lucente altezza trona
12 che se non così, miro serafina;
non voglio celeste laurea corona
per tale bassezza in fine non tota
15 mia, ma rinovellata sì che sprona
mia libera lingua troppo remota
fruita e udita tanti sol traversati
18 quante son stelle da Saggezza Immota.
Quindi per i tanti pianti versati
che porteranno anche me nell'averno
21 canto dei miei sogni non sol sperati;
et i' neanche da 'l Buon Amore Eterno
né da rara musa o donna gentile
24 voglio una ispirazione, ma da Terno
Potere, protezione, per servile
mia divozione alla sua comedìa
27 finchè essa non me la renda senile.
Si parte a dar sfogo mia fantasìa
di meravigliosa alba paradiso
30 che ho reso tale et sì spero sìa.


Chiedo che nel mio scrivere poesia io sia inteso dal lettore per la mia lingua antica utilizzata non di questo periodo finché il mio narrare sia reso a voi, poiché il mio amore nato in età giovanile e non dopo questa stessa si arricchì dalla conoscenza nei famosi poeti della vera se non paradisiaca luce di vita grande e massima lingua originaria depurata dal tempo e mai estinta. Voglio dare una importanza cherubina a tanta splendente altezza trona che se non posso considerare così, almeno serafina; non voglio una laurea celeste come corona per tale modesta opera in fine non totalmente mia, ma riutilizzata così che incentiva la mia lingua (alla quale mi sento in realtà parte) troppo antica utilizzata ed ascoltata tanti giorni trascorsi quante sono le stelle poste da Dio. Quindi per i tanti pianto che ho versato i quali mi porteranno all’inferno, scrivo dei miei sogni non solo sperati; e neanche da Dio né da Musa famosa o donna gentile voglio una ispirazione, ma protezione da Dio per la servile devozione che io ho per la sua commedia (Divina) affinché essa no me la renda conosciuta. Così inizia a dare sfogo la mia fantasia di meravigliosa alba come un paradiso io ho reso tale e così spero io riesco a renderla a voi lettori.


La seconda strofa inizia con il ricordo della prima visione arrivando subito alla descrizione della donna; qui si parla delle sue caratteristiche e delle sue virtù, oltre alle sue capacità di attrarre fortemente l’autore.

II
Ricordo che iniziò con un sorriso,
se non naufrago in agitato errore,
33 quand' ancor non vedevo su quel viso
il mio più grande, alto et dolce amore.
Tale mi prese con tanta leggiadria,
36 e ingenuità del travagliato core
da portar completamente mente mia,
continuo penser et süa figura
39 sui miei occhi, da non trovar altra vïa.
Cotale è stata quinci sua bravura
da non farmi capire sua etade,
42 solo dopo cognizion duratura.
Mi catturò la sua calda beltade
bruna per la giovane lunga chioma,
45 stella mediterranea in veritade,
scuri per colore anche occhi, un pò ma
sì pieni di luce e alta meraviglia
48 da non poter distoglier sguardo com a
om che mira splendida süa figlia
pel sentimento che diverso prova
51 da semplice amor per da lunghe ciglia.
Altra sua virtù che prïa mi mova
son le sue piccole soffici mani,
54 che ogn'esser candide di lei trova
capaci di accarezzare altre mani
il mio viso et stringermi in süo petto,
57 degne di baci et di penseri sani.
Finor di sensi di tatto ho detto
et di vista ma non di mïo olfatto
60 che forse di tutti è 'l più benedetto:
pel suo profumo mi rendevo matto
inconfondibile tra mille odori
63 di tanto lo core ne faceva atto.
Forma angelica fra tanti tesori
terreni et materiali avia in anima
66 più che in corpo et nei süoi magni allori
lontana dal penser degli anziani ma
in cor suo, canto,di tanto in tanto
69 perdia parlando giovenile anima.


Ricordo la mia vicenda la quale mi accingo a raccontare iniziò con la vista di un sorriso se non mi sbaglio, quando ancora non vedevo su quel viso il mio più importante famoso e dolce amore. Tale mi prese con tanta dolcezza ed ingenuità del cuore sofferto da portare la mia mente completamente, il pensiero continuo e la sua immagine sui miei occhi non trovando altra soluzione. Tale è stata quindi la sua bravura, quella di non farmi capire la sua età, che mi pervenne a conoscenza solo dopo una durevole conoscenza. Mi catturò la sua calorosa bellezza, bruna per i capelli, in verità bellezza mediterranea, avendo scuri anche occhi, un poco ma così pieni di luce e importante meraviglia da non per farmi distoglierne lo sguardo come colui che mira la propria splendida figlia per il sentimento paterno amorevole che egli prova e diverso da quello che abitualmente si potrebbe provare per una donna di strada. Altra sua virtù che in precedenza mi colse furono le sue piccole e soffici mani, che ognuno trova in lei candide, capaci di accarezzare le mani altrui, il mio viso e stringermi verso di sé, degne solo di baci e non di malizia. Fino ad ora ho descritto i miei sensi del tatto e di vista ma non del mio olfatto che forse è quello che ha avuto la fortuna migliore; per il suo profumo mi rendevo pazzo, era inconfondibile tra tantissimi di quanto ormai il cuore ne era talmente innamorato. Angelica forma aveva lei fra le tante bellezze corporee aveva insite già nell’anima più all’aspetto che nei pregi che aveva assunto con lo studio, lontana da un pensiero austero, ma nel suo intimo, talvolta nei suoi discorsi emergeva un carattere conservatore.


Il terzo canto si presenta come una molteplice interrogazione nei confronti del destino, tre domande l’autore pone al fato, ma si rende conto che le risposte le ha già dentro di se, pertanto l’unica cosa che gli resta da fare è raccontare gli eventi, ed esplicitare, dopo un analisi dei fatti, le stesse risposte.

III
Perché Fato fece tanto rimpianto
et non dimencanza permanente
72 non sol col mïo ma anche col suo pianto?
Perché Caso portò la mïa mente
a restar convinto su quella stella
75 da non poter esser solutamente
afferrata et portata giù sì bella
da me come in cielo stava messa
78 et costringer me a fare tal novella?
Perché dubia Fortuna non fu stessa
com altre frecce d' Amore scoccate
81 in antecedenza tota rimessa?
Risposte in mio cor son sì solcate
ca dolor è inevitail a sentire
84 ma in ogni mò non l'ha dimenticate;
risposte da sempre state a udire
da più che vicini amici et fratelli
87 da principïo co 'l farmi capire.
Narro i dunca tra li miei castelli
di tappeti e arazzi a pavimenti
90 et mur ricoverti sine pomelli
di miei grandi sogni, per me non lenti,
di ciò che fu et che mäi sarà più,
93 et che mai doveva esser altrimenti.


Perché il destino produsse tanto rimpianto e non mi fece immediatamente dimenticare lei non solo con il mio ma anche con il suo pianto? Perché il destino portò la mia mente sulla permanente convinzione su quella ragazza che in realtà non poteva assolutamente essere cinta da me bella così come la si vedeva e costringermi altresì a scrivere questo componimento? Perché il destino non fu uguale a tutti gli altri innamorati che invece scrissero positivamente? Le risposte sono scritte così sul mio cuore che il dolore e inevitabile da sentire ma ad ogni modo non riesce ad eluderle; risposte che da sempre ho udito dai coloro che consideravo più di semplici amici e fratelli che dal principio cercarono di farmi ragionare. Narro quindi immerso nei miei castelli ricoperti di tappeti e arazzi in pavimenti e mura senza porte dei miei sogni magnifici, per me importantissimi, di ciò che fu e che mai sarà più e che mai doveva essere in verità.


Il quarto canto procede con la narrazione dei fatti, ma soprattutto delle sensazioni legate ed essi, e si conclude con la considerazione di aver perso ogni speranza.

IV
Fu così che il mïo viaggio andato in giù
ebbe discesa lenta et dolorosa
96 vessato sì et tormentato per lo più,
a cäusa dell'astro su cui posa
sguardo mio troppo giovenile stato,
99 che sì nessuno similmente osa.
I giorni di paradiso ò passato,
tra celati eventi et giusti consigli,
102 ai quali tanto peso non ho dato,
"d'i et lëi di mondi diversi figli
una sola questa eguale memoria,
105 (ricordo tra gli ascoltati cantigli
che cancella distratta la stessa storia"
et disegna una realtà sì vana
108 per differenza d'età, sine gloria.
Ma nulla poté et ferita non sana
il Fato di fronte a tal genuitade
111 di un amor tale di stella lontana
c' adagiò 'l mio cor in fondo all'Ade
lungi da lei, et da sua figura
114 sì silenzioso per l'eternitade.
Da grande sogno a terribil tortura
'l animo mio discese in gran fretta
117 che non rimase altro che la päura,
päura di aver perso la via retta
päura di aver perso lei per sempre
120 päura della giovenile stretta.


Fu così che il mio viaggio verso il basso conseguì una discesa lenta e dolorosa, vessato e tormentato maggiormente, a causa della ragazza su cui posò il mio sguardo troppo in età prematura, che nessuno così in modo simile si azzarderebbe di fare. Ho trascorso giorni paradisiaci, tra fatti non raccontati e giusti consigli che mi venivano posti ai quali non ho dato importanza, “ siamo figli di mondi diversi una sola memoria (ricordo tra le canzoni ascoltate) che cancella la stessa storia” e disegno però così una realtà inutile per la differenza d’età tra di noi che nessuno consiglia. Ma nulla poté fermare la situazione e la ferita che mi procurai non eguaglia il destino di fronte a tale ingenuità di un amore tale di bellezza irraggiungibile la quale adagiò il mio cuore sul fondo dell’inferno lontano da lei e dalla sua immagine per l’eternità. Da grande sogno a tortura terribile il mio animo si condizionò subitamente tanto che non rimase altro che la paura, la paura di avere perso la retta via, la paura di avere perso per sempre lei, e soprattutto paura della morte.


Il quinti canto è la resa incondizionata di fronte alla realtà, non prima di aver esternato ogni protesta al riguardo con tutte le forze, si conclude con la descrizione dei sensi e il riposo nell’Ade.

V
Et neanche fortitudo più tempre
submissa a cotale inferto castigo
123 potëa dare né ora, et ne sempre
nïente di ciò che i' adesso diligo,
tra memorie indistinte sì scavate,
126 che ormäi in chesto mïo ornato rigo
rimembrano confusamente date
di momenti et ricordi ormai vani,
129 di sensazioni non più ritrovate;
lontane per sempre come sue mani,
ch'esse mai più sì tali accarezzerò,
132 che mai stesse rivedrò nel dimani.
Mai più suoi occhi 'i come prima guarderò
mai più 'l mio sguardo fisso su di lëi
135 et mai sue divine labbrà sfiorerò.
Quinci rimasto dei detti sensi miei
et spesso svalutato et incompreso
138 è 'l profumo ca sentir esso di lei
non riesce a rimembrare in core leso,
più perché non gli pote fare stesso,
141 di memoria et di pensero a lei reso.
Pertanto giunga da me, sì rimesso
"ecco 'l giudicio uman come spesso erra"
144 fortuna, fato, caso me sì presso
a conquistar sine ch'io facci guerra
'l mio penser et mia anima adesso pronta,
147 a vagar per sempre per tota terra,
o a permaner fermo su chell'impronta
giù sì giù da non traveder più sole
150 et neppure stelle od amor che conta,
et lontano da chell'astro che duole
'l core immensamente et i' non giocondo,
nell'abbisso di chi l'anima vuole
154 et io etterno duro, così profondo.


E neanche forza più coraggiosa sottomessa a tale castigo inferto poteva conseguire ne ora ne mai niente di ciò che io adesso desidero, tra ricordi indistinti recuperati, che ormai in questo mio ornato verso ricordano confusamente date di momenti e ricordi ormai inutili di sensazioni non più riprovabili; lontane sono per sempre anche le sue mani che mai più così tali accarezzerò, che mai riuscirò a trovarne di stesse nel domani. Mai più i suoi occhi come prima guarderò mai più il mio sguardo sarà fisso su di lei e mai le sue divine labbra sfiorerò. Quindi adesso mi resta di descrivere tra i citati sensi miei spesso svalutato ed incompreso : è il profumo, che a sentire il suo non riesce più a ricordare nel cuore danneggiato, più perché non può fare lo stesso ancora una volta, poiché ha restituito memoria e ricordo ormai a lei, Pertanto giunga da me, così riscritto in questo mio componimento “ecco il giudizio umano come spesso sbaglia/viaggia, o fortuna o fato o caso presso di me così a prendersi la mia anima adesso pronta a vagare con esso per tutta la terra o a fermarsi cu quel punto giù, così giù da non vedere più la luce del sole e neppure le selle o qualsiasi amore che possa mai avere rilevanza, e lontano io mi vengo a trovare da quella bellezza che mi spezzò il cuore immensamente e io, adesso triste mi trovo nell’inferno e impassibile così vi resto.



II Componimento in Terzine

In ricordo de l'Amore
Terzo ed ultimo capitolo della trilogia dei lunghi componimenti in terzine dantesche (il secondo in ottave), avendo come tema la conclusione definitiva dell’argomento del ricordo. Si sancisce il termine della descrizione di quell’amore a lungo parlato nei primi due componimenti lunghi e nei sei sonetti della prima raccolta. Il primo canto conferma il dolore del semplice ricordo, ed il vuoto che ne conseguì. 

I
Sì rimembrando di ciò che fu prïa,
non metto pace a mei antiqui penseri;
3 et come se i' ne 'l core non avrïa
doglia che paragoni a cavalieri
me, stesso lasso, che son sottoposto
6 de 'l fato ai contigui errati voleri.
De 'l innamorarsi troppo esto è 'l costo.
Prezzo che paghi sì di lei 'l amante,
9 poi abbandonato modo in cotal tosto,
c' appar come, mïa anima vagante,
di oggetto usato or ostacolo per vïa
12 fin da toglier, da 'l suo sguardo,me inante.
Dopo ch'ebbe straziato, mi da vïa
co 'l sembrar sentimento né diverso
15 come se in sua anima 'l cor non avïa.
Scusando 'l fare suo, a tutti aperso,
alla mia persona, che gentil rende,
18 ferendomi et scusandosi me verso.
Amor, ch' al cor gentil ratto s'apprende
mi prese ella de la bella persona
21 che mi fu tolta: et 'l modo ancor m'offende.
Strappatami via insieme m'abbandona
con una parte di me a lëi appresso
24 lasciando 'l vuoto, che tristezza dona.
Dona 'l vuoto, non solo 'l pianto stesso,
ma anche solitudine imparabile
27 da un amor, che fin' a prïa era messo.
Un amor fiorito in noi sì labile
da non aver avuto lieto fine
30 per voler del fato o dell'Immobile.

Così ricordando ciò che successe non do pace ad i miei pensieri; è come se nel cuore non avessi più il dolore che paragonò ai cavalieri me stesso stanco, che sono sottoposto ai continui errati voleri del destino. Questo è il presso dell’innamorarsi eccessivamente, prezzo che l’amante di lei deve pagare in questo modo inderogabilmente, che sembrerebbe la mia anima vagante come un oggetto usato od un ostacolo in mezzo al cammino tanto da farmi accostare per togliermi dal suo sguardo frontale. Dopo che mi spezzò il cuore mi abbandonò come se non mi avesse mai amato, come se non avesse un minimo di pietà. Scusando il suo essere estroversa, pure verso di me che ne restai innamorato, scusandosi pure nei confronti. Amore, che divampò presto nel cuore gentile, mi colse per la sua bellezza che mi fu tolta, ed il modo ancora mi offende. Mi fu strappata ma mi abbandonò consapevolmente portandosi una parte di me, lasciandomi un vuoto pieno solo di tristezza. Mi lasciò un vuoto, non la sola tristezza, anche l’insanabile solitudine da un amore, il quale mi colmava fino a poco prima. Un amore nato così debole da non poter avere un lieto fine, per volere del destino o di Dio.


Nel secondo canto si parla della gravità del dolore sebbene l’amore provato fu immenso, paragonandosi al volo del quinto canto dell’inferno dantesco. Si parla dei consigli che venivano dati all’autore, e della sua perseveranza. 

II
In süo affetto, trasportato, sine
alcun fermo i' di giù et sù mi trovai
33 et, sì a cotale forza, incline;
sanza poter di ribello i' sì cavai
da un impossibile più che amicizia,
36 un' historia ne la quale fier andai.
Ma non che chesta mi diede letizia:
se dovìa a l'amor metter l'dolore
39 a confronto, non vince la primizia,
tanto fu pena inflitta al mïo core.
Et quindi, si che l'Amor fu assai forte
42 ma non più di quantità del dolore.
Sentimento che le person accorte
videro sempre sofferto cotale,
45 et di chesto già segnata la sorte.
Nato già sine speme d'un finale
sin da l'inizio sapevo per certo
48 ch' avïa impossibilità morale;
però l'cor mio rimase sì aperto
nell'aspettar che qualcosa cambiasse
51 contrastato da 'l mïo pensier sì erto.
Et rimasi ad attender che portasse
gaudio presso me, chesto grande Amore
54 l'primo al quale glie lo manifestasse.
Così come pensai et come favore
che più stretti fra gli amici et sorelle
57 mi predissero vero: sol dolore!
Ma rimasi con le storie novelle
rinovellate di novella fronda,
60 puro et disposto a salire a le stelle.

Mi ritrovai nel suo affetto trasportato senza freni su e giù e impotente di fronte a tale forza; senza potermi ribellare riuscì a trarre da una semplice amicizia un rapporto di cui ne ero fiero. Ma non posso dire che riuscì ad essere felice: se dovessi paragonare l’amore che ho provato al dolore non primeggia il primo sentimento, tanta fu la pena che patì. E quindi è vero che l’amore fu assai forte, ma non più della sofferenza. Sentimento che le persone accorte videro tale sempre sofferto, e prevedevano già come andasse a finire. Nato già senza speranza di lieto fine, sin dall’inizio sapevo che era amorale; però il mio cure rimase aperto all’attesa che la situazione si travolgesse, in contrasto col mio pensiero che in verità riusciva a ragionare. E rimasi ad aspettare che questo grande amore mi portasse felicità, il primo che ho apertamente manifestato. Così in quello che provai, in verità che fu anche una previsione che fecero i miei amici più stretti e le mie amiche, trovai solo dolore! Ma rimasi tra i miei sogni, rielaborati di continuo, puro e disposto a concedermi totalmente a lei.


Il terzo canto esprime l’eterna lotta che gioia, amore, dolore, sofferenza, sentimento, passione, tristezza, combatterono allo strenuo fino alla fine solo del rapporto, che, per decisione dell’amata, è terminato ancor prima di poter essere definito un vero e proprio amore.

III
Ah! Che fu chella historia gioconda!
Ma per evitar, su altro dir non voglio,
63 anche se di molto memoria abbonda.
Qui si nasconde virtù dell'orgoglio;
qui si nasconde dietro un suo sorriso;
66 qui si nasconde fra versi de 'l foglio.
Già fu 'l tempo che carezza 'l suo riso
per mia mano consumata pe 'l suono
69 andava a sfiorar sue labbra et suo viso.
I' ben ricordo, ma ero da che sono
adesso, in tal modo assai diverso
72 sin da capir se fu doglia o fu dono.
Ormäi, passato 'l travaglio, verso
qual luogo mi è sì destino di andare
75 scarso 'l sensibil et dal senno perso?
Rinovellando i sogni et affidare
a la carta ciò che fu prïa stato
78 non riporta l'astro meco a volare.
Gäudio, quindi, non è incontrastato
anzi, è 'l primo ad aver fine certa
81 più di ciò che può esser sì soffocato.
In effetti esta è la doglia più inferta
chella de la fine de l'Amor nostro
84 così ciò che vuose l'alta stella erta.
Amor, quinci, a quanto è 'l saper vostro
non durò sì a lungo da poter tale
87 esser sì definito al parer nostro.
Che resta se non 'l ricordo finale
impresso per sempre con il suo nome
90 dove può toglier solo l'Immortale?

Ah! Quanto fu felice quella storia! Ma per evitare inconvenienti, non voglio di altro a riguardo, anche se la mia memoria abbonda di molto.
In queste parole si nasconde la virtù dell’orgoglio, qui si nasconde dietro un suo sorriso, qui c’è qualcosa nascosta dietro ai versi della carta. Passò il tempo in cui la mia mano consumata dal suonare accarezzava il suo viso ed andava a sfiorare le sue labbra ed il resto del suo viso. Ricordo bene com’ero ma adesso sono molto diverso fino a capire se quello che ho passato fu un dono oppure solo una sofferenza. In quale luogo devo andare adesso dopo la mia sofferenza, dalla scarsa percezione e dal senno perduto? Rimaneggiando questi episodi affidandoli alla carta che successe non mi riporta al rapporto con la mia amata. La gioia non è vittoriosa, anzi, è la prima a perire più della vita stessa. In effetti questo è il dolore più sofferto, quello della fine del nostro amore, così come ha voluto lei. Quindi per quanto vi è dato sapere questo amore non durò così a lungo da poter essere definito così. Cosa resta in fine se non il ricordo impresso per sempre assieme al suo nome sul mio cuore (dove solo Dio può cancellare)?


Il penultimo canto descrive la compressione di una intera vita all’interno di un rapporto brevissimo, della quale importanza e rilevanza comportò l’intenderla come una intera vita trascorsa insieme. L’autore preannuncia di terminare l’opera tripartita subito dopo questo stesso canto.

IV
Et fu chella vita che così come
i' la immaginava perfetta vissi
93 insieme a chell'astro quinci presso me
stava, ma forse a pensier i' venissi
mal inteso che mi portò 'l successo
96 tal modo se niente finor i' dissi.
Si allontanò l'astro da me stesso
sì che ricordando ciò che fu prïa
99 non riuscivo a veder l'futuro adesso.
Prima causa sì de la mia morïa,
se anche solo una domanda fare
102 sarebbe stata esta risposta mïa:
"E' sol così 'l tuo fatale andare:
vuolsi così colà dove si puote
105 ciò che si vuole, et più non dimandare!"
A tal risposta 'l core mi percuote,
certa in somma de la mia sicurtade;
108 et taccio a cotali dolenti note.
Pertanto smetto ormäi in veritade
di perseguire amore sacro et vero
111 et mi abbandon ne l'impronta de l'ade.
Perché il vero amore in cui i' stato ero
non si cerca, ma si trova persona,
114 quindi remmarrò con lo sguardo fiero
et con la mia metà parte che suona,
sì ad attender di trovare luce
117 o, chi davvero mi ama anima buona;
Ma se 'l mio destino vuol che mi induce
a non trovar mai 'l vero grande amore
120 farò sì che niente mai più mi scuce.

E fu quindi quella vita così come l’ho immaginata perfetta l’ho vissuta insieme a quella stella che stava vicino me, e non vorrei essere malinteso ma sono giunto alla conclusione che questo rapporto mi porto un relativo successo, ma qui lo dico e qui lo nego. Da me si allontano la stella tanto che ricordando ciò che successe non riuscivo a vedere un futuro da adesso. Così prima causa della mia morte, è corrispondente alla risposta di una mia eventuale domanda: “è solamente così la tua fine, è stato voluto così lì dove si può qualsiasi cosa si voglia, e più non chiedere!” A tele risposta mi duole il cuore, certa e in massima mia sicurezza; e taccio di fronte a tali note dolenti. Pertanto smetto ormai in verità di inseguire il sacro e vero amore e mi abbandono nell’inferno profondo. Poiché il vero amore in cui io ero non si deve cercare, ma si trova una persona della quali innamorarsi veramente indipendentemente dalla ricerca, quindi rimarrò con serietà a perseguire la mia musica, attendendo così di riscoprire la luce, o chi mi ami davvero anima buona; Ma se il mio destino volesse indurmi a non trovar mai più il vero amore, allora non protesterò, e farò in modo da non farmi cambiare idea.


Il quinto è l’epilogo di tutta l’opera; con questo canto termina la trilogia iniziata con “A ìdem hoc”, continuata con “La quête del senno perso” ed adesso terminata con “Il ricordo de l’Amore”. Si conferma l’estrema sofferenza, e l’autore si scusa nella stessa opera. Il canto termina con i quattro versi più importanti per l’ideologia poetica dell’autore.

V
Qui termina 'l mio sofferto dolore
ch'ho raccontato ne le mie historie
123 consapevol di aver tolto colore.
Tre, come le Antique Sacre Memorie
del Padre, Figlio, et Spirito Santo
126 la qual Trinità tengo in grandi glorie.
Pertanto lascio a continuar mio canto,
uno fra tanti dei grandi pöeti
129 ispirati al libro del maestro santo,
nel quale libro ho gettato le reti
per pescar la mia alta lingua libérta
132 che qualcun'altro sì spero ripeti.
Tutte ispirate da la doglia inferta,
che procura quinci a tal modo chesto
135 sì dedicate a la propria stella erta.
Già 'l mio posto è segnato, et lì i' resto.
Rimarrò tacito et anche cantando
138 et scrivendo con il mio polso lesto,
sì sapete che i' mi son un che quando
amor mi spira noto et a quel modo
141 che ditta dentro vo' significando.
'L mio nome è chello che rileggendo odo,
è un suono che sì in tal modo esso arreca
144 sensazion del sibilo in chesto modo.
Con attenzione et lettura sì cieca
si pote capir qual'è mïo appello
147 et è chello della nota esse greca.
Et allora vi allievo dal fardello
per indirizzarvi a cosa più rossa
150 con cheste sacre parol mi cancello:
A l'alta fantasia qui mancò possa;
ma già volgea il mio disio e 'l velle,
sì come rota ch'igualmente è mossa,
154 l'Amor che move il sole e l'altre stelle.

Qui termina il mio sofferto dolore che ho raccontato nei miei componimento consapevole di aver escluso ogni forma di allegria. Tre, come le tre Antiche Sacre Memorie (La Santissima Trinità) di Padre, Figlio e Spirito Santo, la quale trinità tengo in estrema devozione. Pertanto lascio di terminare il mio racconto uno fra tanti dei tanti poeti ispirati alla Divina Commedia, dal quale libro ho tratto il lessico utilizzato, che spero venga utilizzata anche da qualcun altro. Tutte queste storie sono ispirate al dolore inferto, che procuro quindi a tale modo questo, e tutte sono dedicate alla propria amata. Già il mio posto è deciso, e non protesto. Accetterò senza condizioni, ma cantando e scrivendo con la mia mano esercitata, in modo che voi possiate venire a conoscenza che sono uno che quando viene ispirato dall’amore scrive a quel modo che sente dentro. Il mio nome è quello che rileggendo sento, è un suono che in questo modo procura una sensazione del sibilo in questo modo. Con attenzione e accurato ascolto si può comprendere quale è il mio pseudonimo, ed è quello della nota esse greca (Sigma). E allora vi scarico dal peso di questa lettura per indirizzarvi a qualcosa meno sofferente e con queste parole sacre mi dimetto: Alla mia pur eccezionale facoltà immaginativa vennero meno a questo punto le forze; ma Dio, il sommo Amore che imprime movimento al sole ad alle altre stelle, faceva già girare il mio desiderio e la mia volontà come una ruota, che gira con moto uniforme.



III Componimento in Terzine
Memoria fulgens 
Questo terzo componimento in terzine dantesche rappresenta il “Memoria fulgens” (= Splendido Ricordo), il primo incontro. Ricalca lo stile dantesco della commedia, questo come gli altri, e conta solamente trentatré endecasillabi. Racconta della prima visione dell’amata, il primo momento e luogo in cui ci fu il primo scambio di sguardi tra l’autore e la figura angelica qui descritta.

Quattro àlbe ‘l idi di Luglio avante
conobbi in un incontro giovenile,
3 postëa ‘l meridian de ‘l sol, calante
ormai al crepuscol, ‘l cor gentile
al qual dedicài somma pöesia
6 da ‘l animo mìo, che fù servile.
(Canto d’un’ historia sì tale ché sia,
se ‘l Fato vò permetter a la mente,
9 rimembratala non com un’ eresia
ma simillima a novella dolente
la qual in se racchiuda oltre al dolore
12 il fortissimo sentimento ardente
cantato et nominato come Amore).
‘I non pote dimenticar l’avvento
15 fra gli alberi et fra ‘l erboso colore
de ‘l prato intorno, e quel lieve vento
c’accompagnò conversazion accesa
18 fra noi, et è inutil che mento:
era una réunion dal Mentor resa
per coniar di ludi un tempo et un loco
21 lì nel cortil raccolti d’una chiesa.
‘L suo arrivo fra di noi fù non poco
com se fosse da quéi tutti atteso,
24 com se fosse sicuro com il Foco,
ma ancora non poteva ‘l core leso
immaginar leciti et i contrari,
27 se fui così graziato oppur offeso.
Meco portai là un de miéi pari,
‘l mìo fidato cugino, che parra
30 per l’amicizia più frate che i cari,
convinto per speranza di caparra
di quel tal genere c’a nòi piace;
33 et portài pure la mia cytharra.

Quattro giorni prima delle idi di Luglio (11 Luglio) conobbi in una riunione tra ragazzi, nel pomeriggio, il cuore gentile al quale dedicai la mia massima poesia fuoriuscita dal mio animo che ne rimase devoto. (Racconto di una vicenda così in modo tale, se il destino me ne da la disponibilità, da ricordarla non come una eresia, ma piuttosto simile ad una triste storia, la quale in sé possa esprimere il fortissimo sentimento ardente d’amore). Non posso dimenticare la venuta fra gli alberi e fra il verde del prato intorno, assieme a quel venticello che accompagnò il dibattito fra di noi; ed è inutile che faggio giri di parole: era una riunione organizzata dal coordinatore per stabilire giorni e luoghi di giochi, raccolti li nel cortile di una chiesa. Il suo arrivo fra di noi fu come se tutti inconsapevolmente l’attendessimo, come se fosse sicuro come lo è Dio, a quel tempo il mio cuore non poteva mai sapere come andassero le cose in bene o in male.
Con me portai un mio amico, il mio fidato cugino, sembra più fratello lui che gli altri, il quale venne per cercare qualche ragazza, ma io venni portando solo la mia chitarra.



IV Componimento in Terzine
Cento versi per 8ttONerO 
“Cento versi per 8ttONerO” è la dedica in parte autocritica che l’autore rivolge al proprio gruppo musicale d’appartenenza, dagli esordi fino al primo anno d’età della stessa band: i complimenti, le figuracce, i problemi, le questioni, i premi, le opinioni, le critiche i commenti. Componimento che vuole però mostrare come per quanto lo sforzo di andare avanti sia stato estremamente rilevante, la società in modi disperati ha cercato da alcuni canti di aiutare, d’altri canti di soffocare il progetto dei musicisti di questo gruppo.

Senza cura d’aver alcun commento,
critica, scherno o semplice risata,
3 entusiasta così del cambiamento
noi fecimo la nostra comparsata.
E’ fuor di dubbio nostri ricevuti,
6 dalla folla d’amici variegata
resici allunati e talor sparuti,
complimenti per tale esibizione,
9 senza tra lor pareri dibattuti.
Credemmo allor di far de la canzone
una gran sonata per il concorso,
12 che Aci Trezza faceva in promozione
per chi ch’aveva anni sullo suo dorso
di musica più o meno tarantella
15 professionista, o da can rincorso
in occasion della Buona Novella
di Settembre festività Mariana,
18 la domenica prima serenella.
E fu sotto così la piazza piana
Che suonammo la nostra canzoncina,
21 suonammo con il suono di campana,
ed alla prima ora della mattina
vincemmo la coppa del primo posto,
24 credendo raggiunta d’aver la cima.
La nostra felicità ci ebbe un costo:
Montan la testa e chiacchiere la bocca
27 andammo allor avanti a qualun costo
Senza avere di ripiego una rocca
Facendo figuraccia fuor di casa.
30 -“L’ora della sfortuna ci rintocca”
Fu il pensier della nostra mente invasa
Primo di tutti per la comparsata,
33 per la tecnica come tabul rasa,

Noi abbiamo fatto la nostra prima comparsa in pubblico senza cura di ricevere commento, critica, scherzo o semplice derisione, entusiasti della novità. E’ indubbio che ricevemmo complimenti per tale esibizione dalla folla di amici, che ci allunò e disorientò senza che con loro in vero commentammo l’esibizione.
Credemmo allora di partecipare con la stessa canzone ad un concorso, che la commissione dei festeggiamenti proponeva per cantanti novelli o già esperti ad Acitrezza in occasione della festa della Madonna della Buona Nuova, che cade ogni anno la prima Domenica di Settembre. E fu così che sul palco sotto la piazza che noi eseguimmo la nostra canzone, con uno stile molto liturgico, e dopo la mezzanotte ricevemmo la coppa del primo posto credendo di aver raggiunto il top. Ma la nostra esternazione di felicità ci comportò un costo: ci montammo la testa e cominciammo a vantarci, e senza avere una rocca di ripiego andammo avanti a qualunque costo, andando a fare però brutta figura dove non giocavamo in casa. Il nostro pensiero disorientato fu che ci assalì la sfortuna, innanzitutto per la brutta figura, per la nostra scarsa tecnica esecutiva,


a casa la canzone riportata,
e attendemmo di casa esibizione,
36 stavolta con canzone preparata.
E così che a Natale la canzone,
con la quale fummo da lì marcati
39 iniziale portò l’innovazione,
poi nel bene e nel male ricordati,
per la nostra novità o per follia
42 fummo sì avvicinati o allontanati
A discrezione ed arbitrio o simpatia
Del pubblico che fece padronanza
45 della nostra, immatura cortesia.
E da lì, sui carboni ardenti danza
Fu per noi, per tempi, la nostra scusa
48 di avere traballante la speranza.
Incoscienti e impreparati all’accusa
Ci presentammo alla prima creativa
51 festa della scuola non ancor chiusa.
Suonando con tremarella pur viva
Facemmo quattro pezzi popolari
54 che fecero pubblicità cattiva;
Ma inconsapevoli dei nostri cari
Critici della nostra prestazione
57 che fece più rumor dei nostri pari
A marcare cattiva esibizione.
Allora difensor del nostro onore
60 divenni e divenimmo per canzone
Di semplice fattura del fattore,
di carattere e stile molto piano
63 che fece dell’anglosassone candore
versione all’italiana Celentano.
E così andammo avanti per un anno
66 a cantare misto inglese e italiano,

Ritornando con la coda fra le gambe, attendendo la prossima esibizione di nuovo nel nostro paese, stavolta con qualcosa di più elaborato. E così che a Natale la canzone che ci fu posta come etichetta inizialmente apparve come innovazione, con la quale poi venimmo ricordati in bene e in male, per la nostra novità o per la nostra pazzia e venimmo allontanati o avvicinati a discrezione ed arbitro di chi ci stava attorno come pubblico che della nostra gentilezza immatura fece da padrone. Quindi si eresse contro di noi una problematica che ci minò le aspettative. Incoscienti ed impreparati nei confronti della critica ci presentammo alla giornata della creatività, la quale era una festa scolastica pre-estiva. Suonammo pieni di paura suonano quattro brani “pop” che ci presentarono in modo negativo (in un ambiente hard rock); ma noi purtroppo eravamo inconsapevoli delle critiche che si sollevarono, le quali nel loro silenzio, fecero più clamore del tifo che i nostri compagni regalarono alla nostra esibizione. Allora posto come difensore del nostro onore, io con gli altri, nei confronti della modesta canzone principale che suonammo fatta dall’autore, di genere molto soft, la quale ne fece una versione italiana, dall’originale in inglese, Adriano Celentano (Pregherò). E così continuammo per un altro anno ad eseguire questi brani, alcuni in inglese altri in italiano,

facendo più d’un semplice compleanno,
arrivando al trezzoto riconcorso.
69 Per non farci rivincere cangianno
Modalità che ci fu per noi un morso
Ma non tanto profondo pesante
72 poiché ricevemmo applausi di corso.
L’era di “Pregherò” era motivante
Ma necessariamente esser cambiata
75 doveva per condizio claudicante
Della nostra banda ormài formata.
Avevàm batteria chitarre e basso
78 la voce non fu mai talor mancata
Ma per la precisione solo un passo
Ci mancava per raggiunger la forma
81 per un musical gruppo non più basso
Che lasciasse finalmente la sua orma
Ad Aci e tutt’intorno l’entroterra
84 per svegliar ancora chi in giro dorma
E per far salir noi da sotto terra:
Fu per noi che fecimo Novembrata
87 maturando sì come in una serra,
con la nostra immagin sì divulgata.
Poi di lì a scuola ci preser per scemi
90 quando nostra scemenza fu spacciata
A suonar pezzi dai sbagliati temi,
ma in fine ci fu ‘l germe cambiamento:
93 sicché riuscimmo a passar pur Niscemi.
Utilizzando un piano per momento,
Capimmo che problema in vero c’era:
96 non era preciso nostro cambiamento
Poiché in vero serviva la tastiera.
Diventammo così cinque elementi
99 dalla definitiva forma fiera,
senza ancora smetter digrignar i denti.

Esibendoci non solo in feste di compleanno, ma anche nuovamente al festival della canzone “Città di Acitrezza” dell’anno successivo. Per non darci la possibilità di ottenere nuovamente il primo posto nella categoria dell’anno precedente, si modificò l’organizzazione dei gironi, che comportò a noi l’esibizione fuori gara (come ospiti), ma non venne del tutto a nuocerci poiché ricevemmo moltissimi applausi comunque. Il periodo in cui eseguivamo quel pezzo (Pregherò) era motivante, ma dovevamo pur cambiare cavallo di battaglia poiché cominciavamo un po’ troppo a ripeterci nonostante fossimo strutturalmente formati bene. Avevamo batteria chitarre e basso, la voce non ci è mai mancata, ma per ottenere la perfezione ci mancava un ultimo elemento per finalmente farci conoscere nell’interland acese, e per rivendicarci.
Abbiamo suonato alla prima edizione della festa d’autunno maturando velocemente, facendoci molta pubblicità. Poi combinammo una bruttissima figura quando a scuola suonammo dei pezzi inediti di genere “pop”, ma menomale che da li a poco qualcosa in noi cambiò dopo che suonammo al concerto di beneficenza a Niscemi. Capimmo organizzandoci che il nostro vero problema era la mancanza del suono di una tastiera. Trovando il tastierista diventammo in cinque la forma definitiva, ma non smettemmo mai di trovare difficoltà di fronte al pubblico.



V Componimento in Terzine
TRIA MAXIMA 
Tria Maxima è l’incipit di un opera che vuole descrivere i tre massimi sistemi filosofici dell’idealismo tedesco con Kant, Fischte, Schelling ed Hegel. E’ la prima volta che l’autore si getta verso l’opera filosofica in versi rappresentando una elaborazione di un pensiero già studiato fino alle più profonde conclusioni e soluzioni. Si parla dell’articolazione triadica hegeliana giustificata dall’Aufheben dello stesso filosofo, estesa però fino al pensiero kantiano. In questi pochi versi è presenta la sola descrizione dei due sistemi di Fichte.

A l’epilogo de me’ studi giunto
Convenni finalmente a edificare
3 un discorso qui iscritto per l’appunto.
Trattasi tale dell’interpretare,
in queste poche rime concentrato,
6 ‘l tedesco classico filosofare.
Il pensiero c’ad oggi ho studiato
Unifica in un convenzionalismo
9 il parer di un dialogo perdurato
Nei secoli a partir dal classicismo,
al Medioevo e pur alla scolastica,
12 con Hegél concluso ad Idealismo.
La soluzione di realtà fantastica
Sta sì nel comprender alcuni temi
15 dalla “psicologia alla politica”
accostando ai filosofi supremi,
Alcuna triadica articolazione
18 che unifichi i tre Massimi Sistemi.
Di Johann Fichte è in considerazione
La coppia di sistemi possibili:
21 Dogmatismo in astratta convenzione,
Ed idealismo dai percepibili,
anche seppur con teorici elementi
24 ma sì al suo parere più plausibili.
Colpendo subito alle chiare menti,
“Del filosofo la scelta” egli disse
27 “sta nel sacrificare permanenti
L’autonomia del l’io affinché perisse,
Col dogmatismo per così schierarsi,
30 porre oppur in alternativa eclisse

Giunto al termine dei miei studi ho convenuto di comporre un discorso appunto scritto qui di seguito. Tale si tratta dell’interpretazione, concentrata in questi pochi versi, della filosofia classica tedesca. Il pensiero che ho studiato fino ad oggi unifica convenzionalmente un argomento che nel tempo ha trovato la sua fortuna a partire della filosofia greca, a quella medioevale, alla scolastica, ed infine concluso con Hegel nell’Idealismo. Comprensione di questa filosofia sta così nel comprendere alcuni temi che abbracciano tutti i campi della filosofia accostando a tali grandiosi filosofi, una articolazione triadica che unifica i tre massimi sistemi filosofici. Johann Fichte considerò come i due massimi sistemi possibili la coppia: Dogmatismo, considerato nella sua idea più astratta, ed Idealismo considerato molto più plausibile per gli elementi teorici e percepibili. Egli disse colpendo direttamente gli altri studiosi che la scelta del filosofo sta nel sacrificare, per schierarsi col dogmatismo, permanentemente l’autonomia dell’io a favore della libertà del dogma, oppure, per schierarsi

con l’idealismo, sacrificare
60 Versi antichi e rime nuove
La cosa a favor dell’io nel suo farsi
Per così l’idealismo sostenere
33 e del Noumeno in fine liberarsi”.
“Poiché l’idealismo sì va a cadere
Nell’io per poi spiegar cosa od oggetto
36 solo in questo concetto trattenere;
Viceversa il dogmatismo al soggetto
Arriva partendo dalla “in sé cosa”
39 rispiegando dal Noumeno il concetto”.
Sicuramente più compreso è in prosa,
Ma Fichte confuse cosa e divino,
42 cercando tesi che miglior si sposa.
Dio e cosa nel “non-io” in suo pensar fino
Convocò sì e facendosi infedele
45 Rispetto al pensiër del sopraffino
Nato a Koningsberg, Kant Emanuele.

la cosa a favore dell’io, liberandosi (non tenendo conto del Noumeno). Poiché l’idealismo è costituito dall’io con il quale si spiega la natura della cosa o dell’oggetto, il dogmatismo invece parte dalla cosa in sé per spiegare la natura dell’io, riesumando il Noumeno. Sicuramente quello che nei miei versi sto cercando di spiegare è molto più comprensibile in prosa, ma Fichte confuse cosa e cosa in sé, cercando una tesi più confacente alle sue esigenze. Convocò all’interno del “non-io” tanto la cosa che la cosa in sé (oggetto e Dio), facendosi però infedele al pensiero sopraffino del filosofo che nacque a Koningsberg, Immanuel Kant.





VI Componimento in Terzine
CHIU' VALURI A NOSTRA TRIZZA 



Terzo classificato alla XIII edizione del Premio di Poesia "Acitrzza, Terra dei Ciclopi" del 25 Agosto 2012, in dialetto acese (siciliano orientale).


Mi dissiru cettuni ca na vota,
‘ccani, unni nuatri semu a ‘pparari
3   n’da zona di scogghi e tera trizzota
ci stavunu cetti uomini di mari,
di munti, di ciumi e regni luntani 

6   ca i storî ‘i cui, fan’i canni arizzàri.
Siculi ‘ccu sicilioti e sicani,
arabi, turchi, spagnoli e francisi,
9   greci, bisànziu e macari rumani,
i tedeschi cu amiricani e i ‘gnlisi.
Mi cuntaru co’ paisi avja autru ‘nnomi:
12   u primu popul “Sifònia” ci mìsi;
u secunnu u chiamanu annunca comi
n ‘ciumi ca s’attruava sutt’a Reitana,
15   friddu assai e veramenti ranni, comi
“Ciumifriddu”, calannu d’a muntana:
“Akis” precisamenti mi cuntàru,
18   c’appoi fu cummigghiatu di na frana.
Accoluvoti n’giru mi pigghiàru?
“Akis? A ‘cchi stati ‘ncucchiannu docu!?
21   M’allinchisturu a testa paru paru:
A Trizza ju canusciu e non ci jocu,
ci travagghiu, e c’haïu figghi nichi;
24   non m’interessa chi fu na stu locu,
non mi ‘nciammu di storî di l’antichi.”
Chiss’è zzoccu ci rissi di nivvusu,
27   nficcari non mulennumi ne ntrichi,
accussì comu quann’era carusu,
e travagghiannu, ma non gnennu a scola,
30   d’ascutari e sturiari pessi l’usu.
Mi ni pintì a diri da parola
cunfidannu cu vuatri a virità,
33   ma manciannu, cariannu a cariola.
Mi cuntaru di rossi rarità,
di scogghi culunnari millinari:
36   biddizzi naturali n’quantità!
Mi cuntaru di cosi di ‘nzunnari:
fozz’e teremotu intr’e faragghiuni
39   focu da muntagna sutt’o mari,
scinnenuci e acchianannuci assaiuni
arricchennula accussì ‘i meravigghi.
42   Mi dissuru ca ‘a Trizza era Cumuni,
co’ Sinnucu, i riunioni e i cunsigghi,
libera com’u volu di n’aceddu,
45   senza vinculazioni e mancu brigghi:
era ricca c’un palazzuni beddu,
e jèra chiù puntenti da Catina,
48   macari sutta avennuci u Casteddu!
U chiù mputtanti pottu da marina,
canciannu ancora nomina na vota,
51   fra pitrazzi, di scogghi e m’pochi ‘i rina,
puri scrissuru na storia assai nota:
Verga Giuanni de vicenni scrittori
54   d’a disgraziata famigghia trizzota,
fu u secunnu appressu u grecu äutori:
Omero ca cuntau gesta di Ulissi,
57   e scucchiannuci a Polifemu u cori.
Ascutannu ju sti paroli rissi:
“Ata scusari si mi fici bruttu ,
60   puri a lignuazza cascari m’avissi,
ma cuppa mia non’è si sugnu cuttu
di l’amuri pi chissi ‘nfummazioni!
63   Nuddu pe putenti ju ca arisuttu,
cui macari s’acchiappa pe’ gettoni
ma si facissuru na valintizza,
66   apparicchiannu beddi istituzioni,
non pi mangiarisi i cristiani a pizza,
ma scoli e musei pi sti canuscenzi
69   dassuru chiù valuri a nostra Trizza,
70   arricchennu di tutti li cuscenzi!”


VII Componimento in Terzine
SCOGGHI D'A TRIZZA 



Quarto classificato alla XIV edizione del Premio di Poesia "Acitrzza, Terra dei Ciclopi" del 17 Agosto 2013, in dialetto acese (siciliano orientale).

A pparàrini pi lla prima vota
fu ‘ncertu Stefanu lu Bizantinu
ariulannusi c’a costa trizzota;
di l’assai nìuru locu marinu
chinu di li scogghi arsi di lu focu
sturiau macari ‘mputtanti parinu.
Patri De Maria misi ‘nda stu locu
di “Acis Laterizia” u nobbili nnomu
e non ci si sbagghiau mancu di ‘mpocu,
picchì lu geografu lu chiamau comu
‘nmunti di lava misu nda l’Africa:
“Aterium”, di cui “Aterizia” lu nnomu.
“Abbruciatu” a parola significa,
comu li scogghi niuri pari pari
ca ‘mpugnu di di carusi s’àddica
a farini tesori millinari
attàgghiu di lu vecchiu vaccalòru,
ca su i rari basalti culunnari.
Ma prima di scuprìri stu tesoru
docu era sulu scogghi ‘ncimintati
e nuddu capeva ca ‘nveci era oru:
da, unni motoscaffi ‘nfrasciamàti
appizzaunu a bedda taliat’e lussu
china ‘nveci di vacchi culurati.
Rapìti u ‘ntellettu cu stu riscussu,
ca a Trizza n‘è d’a to e mancu d’a mìa:
cu a voli pigghiari si stuiassi u mussu;
è di tutti ca ‘ndo cori l’avìa,
è di cu c’havi sintimentu veru
è di cu non si ni iss’i cca mai vìa.
E ju vu ricu ccani appidaveru:
Rissuru a cu i vuleva puliziari
“Ma tu c’ha pinsatu mai o cimiteru?”.
Chi “belli” cosi c’ana addumannari
I facci ‘i scogghiu ca s’arrisicaru
A sti ricchizzi’e museu ad ammucciari!
E macàri a vinnìci ci sculàru,
rùggia e i fitinzî ittannucci a munnizza,
e àutri macàri unu ni tagghiaru!
Chistu è ‘mpostu di vera biddizza,
non si tratta ‘e coculi e mazzacani,
chissi ca su i rari scogghi d’a Trizza!
Senza “scanzatini” e “mancalicani”
non su cutilisci nè cuticchiuni:
annunca su i chiu rari scogghi italiani!
Di chisti ci nn’è pi tuttu u cumùni,
e m’addumànnu com’è ca a cu spetta
ancòra ci si cunnùci assaiuni
a far na ranni istituzioni apetta
non sulu a tutti i turisti d’o munnu
ma chiossai e paisani, e ca ci metta
‘ndi la testa, ‘nficcatu fino o funnu,
c’ama teniri com’a nostra casa
stu monumentu ch’è pizzutu e tunnu,
naturali maravigghia pivvasa,
di sapìri, di storia, e di scienza,
ca tutta a gioventù ni è pissuasa!
Si facissuru préscia ‘nda cuscienza,
a livarisi do ‘mpegnu ca c’hanu,
debitu aspittatu cu la pazienza,
e fari comu lu munti africanu,
a fari canusciri a tutti pàri
u chiù scuru d’o mari sicilianu,
e tutti ponu veniri a taliari
“Aterium” o “Laterizia” o “la Trizza”
comi egghié ca tu idda la vo chiamari
ca è duci matri ausu na carizza,
è casa pi cui ccani ci su nati,
è sempri ancòra a chiù ranni biddizza,
lassa tutti i turisti ‘nnammurati!