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Ottave

La quête del senno perso

Secondo capitolo della trilogia, l’unico in ottave, trae moltissimo dall’Orlando furioso di Ariosto, sia per lo stile che per i temi utilizzati. E’ strettamente connesso al primo capitolo e richiami sono pressoché continui in tutto il componimento. Si tratta di un insieme di 19 ottave che fungono da cardine tra il primo ed il terzo componimento in terzine. Vi è largo uso di riferimenti a componimenti dal quale si trae ispirazione.

I
Riprendo da dove 'l lettor volesse
se continuar a saper di mei pianti.
I proseguo: per chïunque legesse
di trovar di me adesso et non inanti
noia nel mio cantar, volendo potesse
anzi chiedo, i stesso nei mei canti,
di non perder tempo a vöi pretioso
p' udir mio racconto a me doloroso.

II
Sicuramente seguiràn mei versi
voi ch'avete l'intelletto d'amore,
c'al cor gentil rempaira sempre persi
i suoni di quel travagliato core,
che scrive con verbi remoti immersi
in attuale loquo, per non dolore
far capir a chi di vero ebbe 'l primo
detto solo a lei et, quindi i adesso rimo.

1. Se il lettore volesse continuare a conoscere la mia sofferente storia, io riprendo proprio dal punto in cui la lascia nel componimento precedente. Proseguo con un avvertenza: per chiunque che si stia trovando in questo momento leggendo a trovare già da ora noia e non più avanti nel mio scrivere, volendo ha la possibilità di non proseguire oltre, anzi io stesso chiedo qui fra questi versi di non perdere tempo che a voi è prezioso per ascoltare altrimenti il mio racconto per me doloroso.
2. Sicuramente continuerete a leggere voi che avete la comprensione dell’amore, che al cuore gentile ricorda/ripara sempre perse le parole di quel cuore travagliato il quale scrive con un linguaggio antico mischiato a quello moderno, per non far intendere questo dolore a chi ebbe sentito manifestarsi il mio vero sentimento, alla quale io dissi per la prima volta, quindi scrivo.

III
Chi non legga et decida di non farlo
massimo rispetto trova presso me.
Colui o colei che reputa non darlo
a me nel legger chesto pianto com'è,
non intellege di che adesso parlo
per chesto dico esto mio tempo no m'è.
Chiunque mi voglia intendere, intenda;
inizio dove memoria rammenda:

IV
A vagar per sempre per tota terra
o a permaner fermo su chell'impronta,
stremato ormai chel corpo solo ch'erra
per terre et per mari, che più non conta
se fosse vivo o morto, 'l core serra
et non presto innamoramento monta,
per ingiustizia che al cor subìto
tanto che mai orecchio sano ha udìto.

V
Che mai ha udìto non è in sicurtade;
forse più di me han sofferto tanti,
ma i' rimembrando di chella beltade
i lumi, le mani, non più ora inanti,
e 'l profumo nell'aere in veritade
mi pare che solo io di tanti amanti
sofferto assai, che vecchia rima cita
perdevo o 'l senno o perdevo la vita.

3. Chi non leggerà decidendo pertanto anzitempo (quando lo consigliai) di non farlo, io lo rispetto. Chi però non mi rispetta non leggendo evidentemente non comprende di cosa io stia parlando, per questo io affermo che questo in cui mi trovo non è il mio tempo. Chiunque mi voglia intendere intenda, inizio dove la mia memoria può arrivare a ricordare:
4. Mi trovo a vagare per sempre per tutta la terra o a rimanere fermo in quel punto, stanchissimo come se la mia anima avesse abbandonato il mio corpo errante per terre e per mari in modo indifferenziato ed irrilevante se fosse il mio corpo vivo o morto, il cuore si chiude e non può procurarmi nessun’altro innamoramento a colpa dell’ingiustizia ch’esso subì di proporzioni mai conosciute prima.
5. Che nessuno mai abbia sentito qualcosa del genere non è certo; forse tanti hanno sofferto più di me, ma ricordandomi di quella bellezza, gli occhi, le mani, non più adesso di fronte a me, ed il profumo diffuso in aria in realtà mi pare che solo fra tanti amanti sono stato quello a soffrire maggiormente, tanto che vecchie poesie dicono che avrei perso il lume della ragione o la vita.

VI
Se la vita non ho perso et son vivo
motivo dev'esser per salvataggio;
io ringrazio che son qui tutto schivo
da pericol, se non si fa coraggio
'l Fato a compier ciò che nel passato i' vò
e adesso mi prende nero vestaggio
et termino ancor prima di partire
mio canto per veder com' a finire.

VII
Com' a finire, io canto, non saprei
perché non ho perso vita, ma invece
credo di aver perso senno io direi.
Forse era meglio trovar color pece?
O forse meglio dimenticar, vorrei
dire, lëi che 'l più dolor mi fece?
Follia mentale m'ha raggiunto ormai,
più non rimembro, più non capisco mai!

VIII
Non capire è la più brutta cosa,
o sua di non veder il mio soffrire,
o mia che feci ciò che nessuno osa.
Quindi meglio il silenzio che patire
pena dura, aspra et sì dolorosa
che sarebbe meglio talor morire.
Accennai dove mi trovo a raccontare,
n' quel loco che fa sempre seguitare.

6. Se non ho perso la vita e sono qui sano e salvo ci sarà pure un motivo per il quale io sia stato salvato; io ringrazio per essere qui non sfiorato dal pericolo sperando che queste mie parole non siano di cattivo presagio e la morte si faccia pertanto coraggio a procedere con quanto io nel passato io avrei voluto, e adesso si decide a farlo, e terminerei ancora prima di iniziare il mio racconto che avrebbe scopo di mostrare l’epilogo.
7. L’epilogo io dico che in verità non lo conosco, poiché non ho perso la vita ma credi di aver perso la ragione. Forse era meglio morire o dimenticare lei che mi procurò il massimo dolore? Ormai sono colto dalla follia, non capisco più.
8. Non capire è la cosa peggiore, o sua di non vedere la mia sofferenza, o mia che tentai ciò che nessuno osa. Quindi meglio che io non dica oltre anzi patire una pena aspra dura e dolorosa, tanto che la morte sarebbe meglio. Ho accennato (nel capitolo precedente) dove io adesso mi trovi a scrivere questi versi, mi trovo in quel luogo che fa sempre rincorrere.

IX
Seguitare ciò ch'è desiderato,
cogn' om cerca et mai trova, se non altro,
che nessun sen non pochi han trovato
et forse di chesti solo il più scaltro.
(Chi più ama non è mai sì tanto amato
da raggiunger equilibrio, per altro
è più facile che perda ciò che ami
che 'l disio di te s'innamori e t'ami:

X
se t'ama, mai sicuramente stesso
si prova egualmente da raggiungere
equilibrio). Per chesto canto adesso
a voi che nell'intelligire e audere
state attenti at cercar dove sia messo,
nascosto, o perso per sì prentere
ch' a scambio di vita ora persi inante;
et son dunca nei palazzi d'Atlante.

XI
Chei palazzi situati in profondo
loco, et nascosti da le alte mura.
Mai più io raccontar in modo giocondo
et soprattuto sine gran premura
tanto nessun pò riportar al mondo
me, più che la sua inante bravura.
Ma tanto in vista che lei non sì faccia
mi metta a raccontare, se no che io taccia!

9. Rincorrere ciò che è desiderato, che ogni uomo cerca e non trova, altrimenti altro, che nessuno se non pochi hanno trovato, e tra questo c’è riuscito solo il più scaltro. (Chi più ama non è mai così corrisposto da raggiungere un equilibrio fra i due amanti, per altro, è più facile che l’amante si perda che si innamori di te:
10. Se invece si innamorasse di te sicuramente mai allo stesso modo si proverebbe in modo uguale tanto da raggiungere un equilibrio). Per questo io racconto adesso a voi che nel comprendere ed ascoltare state attenti a cercare dove io sia posto o nascosto, perso affinché prenda cosa io persi al posto della vita davanti a me; e sono dunque nei palazzi di Atlante,
11. Quei palazzi posti in un luogo profondo, nascosti da alte mura. Mai più io racconterò felicemente e soprattutto con lentezza, tanto nessuno può riportarmi al mondo più che la sua bravura evidente. Ma in verità che questo non può avvenire mi metto a raccontare altrimenti taccio.

XII
A raccontare ora di mei gran sogni
per me non lenti, di ciò che fu stato
et che mai doveva essere per ogni
om che vive et ama et fu innamorato
di donna che ha procurato sogni
più di quanto amore fu nel cantato
da far cantare con tutto l'dolore
del più grande, alto, et dolce amore.

XIII
Amore, che se troppo amato, dona
un dolor, che sembra non voler morte
di se, ch'a nullo amato amar perdona
mi prese nel suo piacer sì forte
che come vede ancor non m'abbandona,
ma poi giunge sempre la dura sorte.
In realtà di nostro mondo mortale
non c'è la magia d'amor così tale.

XIV
Magia et amor etterno non esiste.
Chi di vo' cortesi cavallier voglia
smentir con una tesi che resiste,
o donne gentil, spiegatione spoglia
da opinioni a rëaltà insieme miste
per placare, o contraddir la doglia,
fatevi sì avante sine timore,
o vince 'l amor, o vince 'l dolore!

12. A raccontare ora dei miei sogni grandiosi per me importantissimi, di ciò che avvenne, e che mai invece doveva accadere per ogni uomo che vive, ama che s’innamorò di qualche donna che gli ha procurato sogni d’amore che mai in altre poesia sia mai stato raccontato, da far raccontare con tutti il dolore del più grandioso, importante e dolce amore.
13. Amore che se troppo sentito procura un dolore che tutto vorrebbe tranne la sua stessa fine, il quale perdona chi non abbia mai provato amore, che nel mio caso mi colse per il piacere talmente forte che come si può vedere ancora non mi abbandona, ma è inevitabile che prima o poi si giunga ad una qualche fine. In realtà in questo nostro mondo di uomini non c’è la magia di un amore vero.
14. Non esiste la presenza di magia ed amore vero. Chi di voi cortesi cavalieri ha intenzione di smentire questa mia opinione con una fondata tesi, oppure voi donne gentili, riuscita a dare una spiegazione assoluto che non sia contaminata da pareri soggettivi (più di quanto lo sia già il mio) per calmare o alleviare il dolore, fatevi avanti senza paura, da quel che si converrà si disporrà più ragione all’amore o al dolore.

XV
Lo stesso dolore che ha portato
via il senno et per sempre ha condotto
me nell'averno et mi ha procurato
non sol una dimora giù, là sotto,
ma anche un solco nel core sì straziato
incapace ormai et così tutto rotto.
Se bastasse per finire solo un cenno
ringrazierei, pe 'l mio trovato senno.

XVI
Quel mio senno che si trova cogl'altri
perso, nascosto da dubia fortuna
in un'ampolla per sempre. Ma 'l altri
non le hanno ritrovate tranne una,
dove son quelli de' cavallier scaltri
in sul quel luogo sì chiamato luna.
Forse io come lui possa ritrovare,
avendo solo chi ivi va ad andare.

XVII
Chi ivi vada ad andare non c'è presso me,
non esiste om capace a risalire
inferno, purgatorio e in fine (come
'l maestro ivi raggiunto lasso et dire
passato 'l empireo dall'alto Nome)
giunto dalla luna, et poi venire
a portarmi nuovamente riavuto
'l mio senno distrattamente perduto.

15. Lo stesso dolore che mi ha privato della ragione e mi ha condotto per sempre nell’inferno procurandomi non solo fissa dimore laggiù, ma anche una profonda ferita nel cuore così straziato ormai incapace delle sue funzioni e guasto. Ringrazierei chiunque mi facesse ritrovare la mia ragione se per questo bastasse un semplice sorriso.
16. Quella mia ragione che si trova insieme agli altri, perso e nascosto dal destino all’interno di una ampolla per sempre. Ma gli altri nelle mie condizioni non le hanno trovate a parte una, in mezzo a quelle degli scaltri cavalieri, in quel luogo che conosciamo col nome di Luna. Forse anche io come colui che la ritrovò possa fare lo stesso, vendo solo chi per me vada al mio posto a cercare.
17. Io non ho a mia disposizione chi possa andare per conto mio, non esiste uomo capace di risalire l’inferno, purgatorio e in fine (come Dante raggiunto quel luogo stanco oltrepassato il paradiso e raccontare di fronte a Dio) giunto alla Luna, e ritornare a portare adesso ricevuto in tal modo la mia ragione persa distrattamente.

XVIII
Et dopo che sì abbia dal mio mastro
preso 'l dolce stilo, ed'altro invento,
perduto, quinci, dopo che chell'astro
presomi nel mïo alto sentimento,
in quell'alba, c'ha dato via al disastro
non rimase altro che un gran tormento.
Et c'è speme tra di voi che i' adesso
del mio cantar infine lasso cesso.

XIX
Pertanto la quête del senno perso
è un'utopia, che non sol incerta
per raggiungimento alla luna verso
ma anche perché via non è aperta
a mortal co' me a veder ciò ch'è terso,
o a uscir a riveder la stella erta,
che mi bastasse solo un suo sorriso
per, sano, riposar in paradiso.

18. E dopo che io abbia tratto da Dante questo lessico non più utilizzato, unito ad altro di mia produzione, quindi che la mia amata mi ha preso nel mio sentimento più forte, in quell’alba, dalla quale tutto ebbe inizio, non rimase altro che una atroce sofferenza. E credo che ci sia speranza a vostro favore che adesso io del mio raccontare stanco termino.
19. Pertanto la ricerca della ragione perduta è un’utopia, che non solo dall’esito incerto per il raggiungimento della Luna, ma anche perché la via non è aperta agli umani in vita a vedere il paradiso, o a rivedere la mia amante nel pieno delle sue bellezze, della quale mi bastasse solo un sorriso, per in vero farmi riposare ormai risanato in paradiso.